PRESERVATION STATUS & RESTORATION

PRESERVATION STATUS

Date

13. - 17. sec. | 1200 - 1699

Reference to the part

intero complesso decorativo

Description

Dalle più antiche notizie riportate dalle fonti riguardo alla chiesa di S. Michele in Africisco si possono desumere diverse occasioni nel corso del 13. sec. e del 16. sec. in cui l'edificio ha necessitato di interventi di restauro dato il precario stato conservazione. La prima riproduzione dell'oggi alteratissimo mosaico di S. Michele in Africisco sappiamo essere un'incisione riportata nei Vetera Monimenta (1699) di Giovanni Ciampini. In quest'epoca, pur sembrando ben conservato, appare incompleto in alcune parti e restaurato. Il Ciampini segna con la lettera D la parte inferiore della veste e i piedi del Cristo imberbe nel catino absidale indicando una zona non più esistente, ma si può anche presumere l'esistenza di una patina di sporco tale da non lasciar vedere allora questo particolare, dato che nelle riproduzione più tarde viene riportato integro. Il Cristo barbato nella fascia superiore è segnato molto più chiaro, forse perché già allora molto rovinato e poco visibile. Un'altra lettera D a fianco della scritta Damianus vuole indicare una zona probabilmente ridipinta, ossia la figura di san Damiano e il suo fondo dorato (RICCI 1905, La chiesa di S. Michele, p. 142; RICCI 1937, Monumenti B, p. 31 nota 2; WESSEL 1961, La chiesa di San Michele, p. 370).

RESTORATION

Date

13. - 17. sec. | 1200 - 1699

Reference to the part

intero complesso decorativo

Description

Pur non avendo certezza di quanto i lavori possano aver riguardato anche la superficie musiva, si ha notizia di importanti restauri nella chiesa di S. Michele in Africisco datati al 1215 perché una pergamena del fondo Portuense ne ricorda, in quell'anno, il "laborerium". Nel corso del 16 sec., secondo quanto riferisce Girolamo Fabri nelle Sagre Memorie di Ravenna antica (1664), la chiesa viene nuovamente, quanto genericamente, assai restaurata (RICCI 1937, Monumenti B, pp. 6-7). Un ulteriore intervento di rifacimento, non meglio databile se non tra 16. sec. e 17. sec., si può desumere dall'incisione riportata da Giovanni Ciampini nei Vetera Monimenta (1699), prima riproduzione nota dell'oggi alteratissimo mosaico di S. Michele in Africisco. L'autore segnala con la lettera D a fianco della scritta Damianus una zona ridipinta, ossia la figura di san Damiano e il suo fondo dorato, mentre si segnala un restauro a mosaico non meglio identificabile. È interessante notare come nell'incisione siano riportate scorrettamente le colombe dell'intradosso, ovvero le sei dalla parte sinistra guardano verso il Cristo al centro dell'abside, mentre le sei dalla parte destra sono rivolte verso l'esterno (RICCI 1905, La chiesa di S. Michele, p. 142; RICCI 1937, Monumenti B, p. 31 nota 2; WESSEL 1961, La chiesa di San Michele, p. 370).

PRESERVATION STATUS & RESTORATION (2)

PRESERVATION STATUS

Date

1805 - 1844

Reference to the part

intero complesso decorativo

Description

Nel 1805 la chiesa, assai degradata nelle architetture come negli spazi, viene interdetta al culto a seguito delle soppressioni degli ordini religiosi dovute a Napoleone. Nel 1812 viene parzialmente venduta per 80 scudi a un certo Andrea Cicognani che utilizza la navata sinistra per ricavarvi delle botteghe per la vendita di pesce prospicienti il vicolo Casa Matha. Nel 1816 Pompeo Raisi fornisce alcune notizie su quanto avviene alla chiesa dopo la soppressione e, descrivendo il mosaico dell'abside e dell'arco trionfale, ne parla ancora come del più conservato e bello della città. Nel 1840, in quanto proprietario di S. Michele in Africisco, il comune di Ravenna vende la restante e più pregevole parte della chiesa all'amministratore civico ed antiquario Giuseppe Buffa, legando la transazione alla salvaguardia del paramento musivo. Onde poter utilizzare gli spazi occupati dal mosaico come deposito per la legna, il Buffa fa erigere un muro a scopo protettivo, tra la zona absidale e la navata, che tuttavia non basta a salvaguardare la superficie musiva dai danni arrecatigli dall'accumulo di materiale da ardere, legna e fascine che in quel locale venivano legate, ammucchiate e infine vendute. Nel 1844, secondo quanto riferisce l'antiquario veneziano Francesco Pajaro nel corso del sopralluogo eseguito prima dello stacco, il mosaico presenta danni antichi e moderni, primi fra tutti svariate ridipinture a coprire molte parti affumicate. Diverse importantissime testimonianze, tutte concordi, documentano nella maniera più fedele il preciso stato di conservazione del mosaico poco prima dello strappo: si tratta di un acquerello eseguito, probabilmente per conto del re di Prussia, dallo scultore Enrico Pazzi tra 1842 e 1843, di un lucido tratto dall'antiquario Francesco Pajaro, eseguito sulla base dell'acquerello del Pazzi, che segnala con inchiostro nero le parti mancanti e con matita rossa le parti ridipinte e di un altro acquerello, sempre databile al 1842/1843, eseguito dal carpentiere Luigi Falchetti. Risultano pertanto mancanti un'estesa zona comprendente la parte inferiore della figura di san Cosma, di cui restano perciò il busto, la testa e la mano destra, e parte dell'intradosso; due grosse lacune si riscontrano una vicino all'arcangelo Michele e una nel fondo della sua veste, una sottile striscia nella zona inferiore di tutta la superficie musiva, una grossa lacuna comprendente parte della veste dell'arcangelo Gabriele e che si estende all'intradosso e alla figura di san Damiano nella parte inferiore e laterale.Nell'acquerello del Pazzi risulta ancora visibile parte della sesta colomba che chiude la fila delle sei per parte che decoravano l'intradosso, simboleggianti, nel numero dodici, la schiera degli Apostoli che guardano al fulcro centrale dove si trova il Cristo. Sempre dal Pazzi, così come dal Falchetti, sono segnalate con colore più chiaro le zone interessate da rifacimenti pittorici quali tutta la restante parte della figura di san Damiano, parte della decorazione dell'intradosso e una piccola parte di ala e veste dell'arcangelo Gabriele, una grossa fascia di fondo oro soprastante le teste degli angeli con tromba alla sinistra del Cristo barbato nell'arco trionfale e la fascia decorativa soprastante che corre lungo tutto il perimetro superiore, così come un'estesa porzione delle figure dei medesimi angeli, nello specifico gli ultimi due verso l'esterno, e della parte di flutti multicolori in cui sono immersi (RICCI 1937, Monumenti B, p. 9-10, 31; BOVINI 1953, Un'antica chiesa ravennate, p. 18; AGOSTINELLI 2007, Interventi e restauri nell'ex, pp. 283-285).

RESTORATION

Date

1844 - 1845

Reference to the part

intero complesso decorativo

Description

Tra 1842 e 1843 il mosaico absidale di S. Michele in Africisco viene venduto per 200 scudi dall'antiquario Giuseppe Buffa al barone Nicolaus von Minutoli, assessore tedesco, che tratta la compera per conto di Federico Guglielmo 4. re di Prussia, consulente lo storico dell'arte von Wagen in rappresentanza della corte. Con complicate azioni diplomatiche si ottiene da papa Gregorio 16. il permesso di portarlo oltralpe aggirando le leggi che lo vincolavano a rimanere su territorio italiano. Il direttore dei RR. Musei di Berlino I. von Olfers, dopo il netto rifiuto del conte Alessandro Cappi segretario dell'Accademia di Belle Arti di Ravenna, incarica Francesco Pajaro, antiquario di Venezia, di occuparsi delle operazioni di stacco, imballaggio e spedizione. Recatosi a Ravenna, precisamente nel 1844, il Pajaro può constatare le condizioni non buone della superficie musiva e incarica il restauratore veneziano Liborio Salandri di pulire ed eliminare le ridipinture accumulatesi nel corso dei secoli. A seguito di tale operazione viene tratto un lucido dell'intero mosaico, in cui le lacune vengono segnate in inchiostro nero e le parti dipinte in matita rossa. Con l'aiuto del Salandri il Pajaro procede al distacco del mosaico, partendo dalla parte anteriore per finire con la volta; viene utilizzata una forma in legno allo scopo di sostenere il mosaico e tenerlo unito durante il distacco. Successivamente viene restaurato nelle parti più danneggiate e deposto accanto al Consolato Austriaco, per essere imballato. A dicembre dello stresso anno il mosaico, suddiviso in 39 pezzi di tela, risulta a Venezia e nel 1845 si procede a liberarlo dalla malta d'allettamento. I lavori subiscono un forte rallentamento: muore il Salandri e il mosaicista chiamato a sostituirlo, Giovanni Moro, è impegnato in S. Ambrogio a Milano; il Pajaro, incapace di far fronte alla situazione, rimane irreperibile per diversi mesi (RICCI 1937, Monumenti B, pp. 14-18, 21; BOVINI 1953, Un'antica chiesa ravennate, p. 20; TROVABENE 2007, Le teste degli arcangeli Michele, pp. 152-153)

INTERVENTION

Title of the intervention carried out during restoration

consolidamento

Description

Il metodo di stacco utilizzato da Pajaro e Salandri prevede l'uso di una forma di legno per sostenere il mosaico e tenerlo unito durante questa operazione, anche se nel preventivo di spesa si parla di lastre di piombo asfaltate. Nelle operazioni di strappo, certamente a mezzo di tela incollata, oltre alle tessere, viene staccato il cemento, o malta, su cui queste poggiano, il tutto senza rompere il muro. Così si agisce per salvaguardare il più possibile dalla rottura i pezzi molto grandi. Nel frattempo alcuni collaboratori raccolgono tutte le tessere cadute nel corso delle operazioni. Successivamente, a Venezia, il mosaico viene liberato dalla sua malta d'allettamento: l'antico cemento, per sua natura durissimo, a causa dell'acqua infiltrata risulta molliccio e non permette che se ne sostituisca con altro. Viene perciò incollato su nuova tela dal Bianchetti (RICCI 1937, Monumenti B, p. 21).

INTERVENTION

Title of the intervention carried out during restoration

pulitura

Description

Dopo una prima operazione di pulitura realizzata dal restauratore veneziano Liborio Salandri quando l'opera si trovava ancora all'interno della chiesa di S. Michele in Africisco, atta a ripulire ed eliminare le ridipinture accumulatesi nel corso dei secoli, il mosaico viene ripulito tessera per tessera una volta giunto a Venezia (RICCI 1937, Monumenti B, p. 21).

INTERVENTION

Title of the intervention carried out during restoration

integrazione / rifacimento

Description

Vengono completate le figure, rifacendole dove risultano mancanti, mentre il restauro degli ornati non viene completato. La figura di san Cosma, e presumibilmente altre parti, viene rifatta dal restauratore Liborio Salandri (RICCI 1937, Monumenti B, p. 21; ANDREESCU-TREADGOLD 1990, The wall mosaics of San, p. 20).

PRESERVATION STATUS & RESTORATION (3)

PRESERVATION STATUS

Date

1849, ante | 1849

Reference to the part

intero complesso decorativo

Description

Le tormentate vicissitudini del mosaico fermo a Venezia sulla via di Berlino non sono finite. Secondo quanto riferisce Francesco Pajaro nel 1849, il mosaico risulta danneggiato dai bombardamenti sulla città durante i moti rivoluzionari del 1848: palle di cannone sono cadute proprio su Palazzo Sanudo, residenza del Pajaro nonché luogo di custodia del mosaico, danneggiandolo in più punti. Il restauratore Giovanni Moro riferisce di una palla che ha rovinato la metà inferiore del trono, già peraltro restaurato, e di un'altra che ha rigato l'ornamento dell'arco. Il peggior danno risulta tuttavia essere l'acqua che cola giù dal tetto infradiciando il mosaico, conservato in un locale già di per sé umido e nei cui ambienti si sono disperse svariate tessere (RICCI 1937, Monumenti B, p. 18, 22; TROVABENE 2007, Le teste degli arcangeli Michele, p. 152).

RESTORATION

Date

1850 - 1851

Reference to the part

intero complesso decorativo

Description

A seguito dei danni subiti nel corso dei bombardamenti su Venezia e all'inadempienza di Francesco Pajaro, il console prussiano Treves incarica Giovanni Moro delle operazioni di restauro: il mosaico passa così da Palazzo Sanudo a Palazzo Pisani, per poi essere trasportato in singoli pezzi, onde restaurarlo, a casa del Moro che li avrebbe riconsegnati a lavoro finito. Infatti, conclusosi l'intervento, alla fine di marzo 1851 il Moro consegna al Consolato prussiano il mosaico, diviso per sezioni numerate, chiuso in quattro diverse casse; in una quinta invece mette pezzi di smalto d'ogni colore per rimediare ai danni causati dal viaggio nonché materiale per la ricomposizione, per facilitare la quale esegue anche un lucido nel quale ogni pezzo è contrassegnato da un numero. Secondo la lettera d'accompagnamento scritta dallo stesso Moro, insieme alle casse, venivano spediti a Berlino un preciso elenco di tutto ciò che era custodito in ognuna di queste, il lucido utile per il rimontaggio e un disegno a colori che lo scultore Enrico Pazzi aveva fedelmente eseguito anni prima per conto del re di Prussia. Il Moro allegava inoltre due teste originali, non sappiamo quali, provenienti dal mosaico di S. Michele in Africisco per permettere ai committenti di confrontarle e valutare quindi la qualità del suo intervento (RICCI 1937, Monumenti B, p. 19; ANDREESCU-TREADGOLD 2007, I mosaici antichi e quelli, pp. 113,128-130).

INTERVENTION

Title of the intervention carried out during restoration

integrazione / rifacimento

Description

Al restauratore Giovanni Moro vengono attribuiti i maggiori rifacimenti, se non addirittura il rifacimento totale, del mosaico di S. Michele in Africisco: non solo la sostituzione delle teste degli arcangeli Michele e Gabriele e del Christus Victor del catino absidale, ma anche l'integrazione copiosa con tessere moderne che ha portato alla totale alterazione cromatica del mosaico, come, per esempio, la veste del Christus Victor che da interamente porpora quale doveva essere si vede ora azzurra e rossa. Qualcuno attribuisce la vistosa alterazione cromatica all'opera di ricomposizione della ditta berlinese Puhl e Wagner, giustificando l'ipotesi in quanto lo schema per il rimontaggio mandato dal Moro presenta le figure monocrome; ma appare poco plausibile. A sostegno della maggioranza della critica si trova una relazione dello stato del mosaico stilata da Renato Bartoccini, recatosi personalmente insieme ad Alessandro Azzaroni a Berlino nel 1932, che dopo un esame ravvicinato e lo spoglio dei carteggi conclude assegnando i maggiori danni nonché i rifacimenti al periodo veneziano, sostenendo che certamente a Berlino sia arrivato un mosaico già rifatto; giunge inoltre a supporre che ben sette siano stati i restauratori succedutisi nel lavoro di ripristino e di completamento. Ancor più importante è la lettera d'accompagnamento del marzo 1851 scritta dallo stesso Moro secondo la quale il restauratore allegava al carico spedito a Berlino due teste originali, non sappiamo quali, provenienti dal mosaico di S. Michele in Africisco, per permettere ai committenti di confrontarle e valutare quindi la qualità del suo intervento. Il restauratore dava quindi esplicita informazione sul suo modo di operare, non nascondendo di aver copiato ex novo la maggior parte del mosaico, traendo anzi una certa soddisfazione nel paragonarsi al modello, come era tipico della mentalità del tempo. Inoltre in occasione della riapertura delle casse a Berlino nel 1875, l'allora direttore del Museo Max Jordan, accusa delle perplessità circa i supporti di carta utilizzati dal Moro: questi sono disegnati dettagliatamente e colorati secondo i soggetti incollati sopra. Questo porta forse a supporre una funzione come di "cartone" preparatorio, giustificata dal fatto che il Moro non ebbe tempo né modelli originali necessari per produrre copie di grande precisione e, dovendo ridisegnare tutto a mano libera, necessitava di tracce precise per i suoi rifacimenti ex novo. È certo che nel corso dei restauri ottocenteschi viene aggiunto sotto i piedi delle figure dei santi Cosma e Damiano un prato paradisiaco per riprendere quello presente nell'abside (BOVINI 1953, A proposito dei mosaici dell'abside, pp. 64-65; ANDREESCU-TREADGOLD 2007, I mosaici antichi e quelli, pp. 116-117; GRAMENTIERI 1995, Il mosaico absidale della chiesa, p. 100).

PRESERVATION STATUS & RESTORATION (4)

PRESERVATION STATUS

Date

1851 - 1875

Reference to the part

intero complesso decorativo

Description

Dal 1851, anno del loro arrivo a Berlino, le casse contenenti il mosaico di S. Michele in Africisco rimangono a giacere nel R. Deposito di Corte. Più volte il restauratore Giovanni Moro si era offerto di andare a Berlino per completare il lavoro, ma dopo la morte del re Federico Guglielmo 4. nel gennaio del 1861, nessuno aveva più idea di dove destinare il mosaico; rimane perciò dimenticato nei depositi reali. Soltanto nel 1875 vengono riaperte le casse perché si vuol collocare il mosaico in una delle cappelle del Camposanto, complesso voluto dal re presso Potsdam. Poiché a suo tempo il Moro aveva predisposto i mosaici nelle casse in modo provvisorio, incollando le tessere su semplice carta - certo com'era che di lì a poco sarebbero stati collocati in un luogo adeguato - una volta aperti i contenitori, i frammenti di mosaico si trovano in pessime condizioni. A distanza infatti di più di vent'anni la carta e il collante risultano ormai inesistenti, i piani tutti disgregati e il solo rimuoverli è operazione delicatissima e pericolosa. Dopo un breve intervento conservativo eseguito dalla filiale berlinese del laboratorio Salviati il mosaico viene di nuovo riposto in nuove casse collocate stavolta nella Galleria Nazionale: è il 1878 e il mosaico è di nuovo obliato nei depositi (RICCI 1937, Monumenti B, p. 20; WESSEL 1961, Il mosaico di San Michele, pp. 369-370; BUCKTON 1994, Byzantium; ANDREESCU-TREADGOLD 1990, The wall mosaics of San, p. 16,19).

RESTORATION

Date

1875 - 1904

Reference to the part

intero complesso decorativo

Description

A fronte del grave stato conservativo in cui si trovano le sezioni del mosaico alla riapertura delle casse nel 1875, la filiale berlinese del laboratorio Salviati riceve l'incarico di trasportare e rincollare tutto su nuovo strato di carta, rimuovendo i brandelli della precedente, ripulisce le tessere ricomponendo le parti danneggiate ma senza completare quelle mancanti e ripone tutto di nuovo in altre cinque casse collocate nella Galleria Nazionale: è il 1878 e il mosaico è di nuovo obliato nei depositi. Soltanto nel 1893 l'imperatore Guglielmo concede il permesso di esporre il mosaico nell'Altes Museum di Berlino. All'allora direttore generale Wilhelm von Bode si deve la scelta di inserire anche il mosaico ravennate, insieme ad altre antiche opere d'arte cristiana, a formare la nuovissima sezione dedicata all'arte paleocristiana e bizantina. Si incarica allora la ditta Deutsche Glasmosaik Gesellschaft Puhl e Wagner di Berlino di ricomporre la superficie musiva, operazione che andrà a concludersi nel 1904, sulla base dei disegni del Pajaro, del Moro e forse anche del Pazzi. Sempre a questa ditta si deve la ricostruzione delle parti che già mancavano al momento dello stacco dalla chiesa di S. Michele in Africisco. Soltanto nel 1903 il mosaico viene rimandato al Kaiser Friedrich Museum, oggi Bode-Museum, per esservi esposto . Dallo schema per la ricomposizione dei restauratori tedeschi risultano evidenti lacune, pezzi andati perduti durante le vicissitudini subite dal mosaico dopo la spedizione a Berlino. Mancano diverse parti delle vesti degli arcangeli, la mano destra e il piede sinistro dell'arcangelo Gabriele, la mano sinistra dell'arcangelo Michele, di san Cosma resta solo la testa e il piede sinistro, diversamente da san Damiano che è integro, ma solo perché completamente rifatto a Venezia, manca totalmente la croce e l'avambraccio del Cristo trionfante, tutte le fasce decorative geometriche compresa la decorazione dell'intradosso con l'agnello e le dodici colombe (RICCI 1937, Monumenti B, p. 20-23; BOVINI 1953, Un'antica chiesa ravennate, p. 21; BUCKTON 1994, Byzantium; WESSEL 1961, Il mosaico di San Michele, p. 370; TROVABENE 2007, Le teste degli arcangeli Michele, pp. 152-153).

INTERVENTION

Title of the intervention carried out during restoration

integrazione / rifacimento

Description

I restauratori tedeschi si trovano ad affrontare diversi problemi: non solo il rifacimento delle parti già mancanti al momento dello strappo, ma devono inoltre adattare il mosaico alla parete destinata ad ospitarlo nel nuovo museo. Le colombe per esempio, non solo saranno rimontate esattamente al contrario perciò rivolte verso l'esterno invece che verso il Cristo, ma da dodici diventeranno dieci. Altri errori riscontrabili attraverso il confronto con l'acquerello di Enrico Pazzi sono per esempio l'agnello contenuto nell'ovale dell'intradosso, la cui testa risulta rifatta non solo perché di qualità nettamente inferiore ma perché è rivolta esattamente dalla parte opposta rispetto al disegno. Nel libro aperto nelle mani del Cristo dell'abside notiamo che mancano completamente i nastri rossi che si trovavano ai lati e nella scritta, rifatta, tutte le lettere V vengono sostituite con la lettera U. La testa del Cristo in trono dell'arco trionfale viene rifatta molto distante dall'originale e montata inclinata verso la spalla destra. Per dare l'illusione della verticalità si aggiungono alcune file di tessere nella capigliatura dalla parte opposta in modo tale che il contorno risulta molto alterato. La barba, aguzza nelle antiche riproduzioni, viene rifatta suddivisa in due parti, con linee più morbide e rotondeggianti: anche gli occhi sono rifatti in stile moderno, con tessere dal taglio piccolo. Il ginocchio destro viene realizzato troppo alto rispetto alle riproduzioni conosciute, la mano destra non rispetta l'iconografia del gesto oratorio. Agli angeli ai lati del trono viene cambiato il panneggio: vengono eseguite di colore nero le pieghe che vanno verso destra, in azzurro quelle verso sinistra. Presumibilmente vengono rifatte anche le ali dei due Arcangeli e il contorno della testa del Cristo trionfante nel catino absidale (WESSEL 1961, Il mosaico di San Michele, p. 372; GRAMENTIERI 1995, Il mosaico absidale della chiesa, p. 99).

PRESERVATION STATUS & RESTORATION (5)

PRESERVATION STATUS

Date

1940 - 1948

Reference to the part

intero complesso decorativo

Description

Durante la Seconda Guerra Mondiale il mosaico viene gravemente danneggiato, di nuovo, dai bombardamenti: viene colpito il Ponte Monbijou, che si trova nelle immediate vicinanze del museo, l'abside viene squarciata, crollano i tre quinti dell'arco trionfale, i pezzi caduti a terra si frantumano o addirittura polverizzano dallo spostamento d'aria e dall'impatto col suolo; solo i primi due angeli a destra nell'arco trionfale rimangono sul muro. Lungo l'intradosso si apre un'ampia spaccatura che in corrispondenza dell'arcangelo Michele diviene ancora più larga e si estende al fondo dorato. I primi interventi provvisionali risultano quasi inutili dato che per tre anni viene lasciato il tetto sconnesso così da lasciar passare l'acqua, così come le finestre senza vetri né stipiti, tanto che vento, gelo e pioggia provocano infiltrazioni d'acqua che presto raggiungono la parete minacciando di distruggere anche le parti rimaste fortunosamente ancorate al muro. Nel 1948 la lettera del dr. P. Metz alla ditta di mosaicisti H. Wagner ci restituisce una condizione conservativa assai precaria: l'umidità ha fatto staccare dal muro vaste zone di mosaico rendendolo così fragile che basta toccarlo con un dito per sgretolarlo tessera dopo tessera. Durante l'inverno, rimanendo privo di un riparo, lo stato del mosaico va peggiorando. Successivamente a causa dell'innalzamento della temperatura grandi superfici che durante il periodo freddo si erano staccate dallo strato di malta sottostante, si presentano rigonfie verso l'esterno. Intanto il tetto in legno sopra il mosaico non è ancora completato, né sono ancora state chiuse le finestre vicine. Nella dettagliata relazione stilata dal signor Wagner nel corso di un sopralluogo si sottolinea come, oltre la distruzione dovuta ai bombardamenti, il danno maggiore sia provocato dalle infiltrazioni d'acqua e dal gelo che per tre anni sono arrivati al mosaico attraverso il buco lasciato aperto nel tetto. Purtroppo innumerevoli lettere indirizzate all'amministrazione degli ex Musei di Stato di Berlino testimoniano una prolungata incapacità di fronteggiare il problema della conservazione di questo mosaico, non ultima la costruzione della tettoia provvisoria in legno, che risulta essere comunque inadeguata dato che sarebbe stato opportuno utilizzare una copertura con carta catramata (GRAMENTIERI 1995, Il mosaico absidale della chiesa, p. 94-96).

RESTORATION

Date

1948 - 1952

Reference to the part

intero complesso decorativo

Management of the work

Klaus Wessel

Description

In seguito ai danni dovuti ai bombardamenti si avviano le prime operazioni di restauro. Nell'immediato, a causa della mancanza di denaro, materie prime e restauratori specializzati i frammenti vengono raccolti e messi in una cantina mentre l'abside viene provvisoriamente puntellata. Per tre anni non viene fatto alcun intervento. Solo nel 1948 il direttore della sezione delle sculture del Kaiser Friedrich Museum si adopera per intervenire sui mosaici. Inizialmente la scelta cade sulla ditta Puhl e Wagner, che già si era occupata del restauro all'inizio del secolo. Dopo alcuni sopralluoghi Augusto Wagner invia un preventivo nel 1949 che viene però rifiutato per motivi politico-economici. I restauri vengono ulteriormente rinviati finché nel 1950 la scelta cade sulla la ditta di Heinrich Jungebloedt di Eichwalde sotto la supervisione dello storico bizantinista Klaus Wessel. Lo stesso Wessel si occupa inizialmente di verificare lo stato dei grossi frammenti del mosaico, studiarli per la ricomposizione e verificarne le parti originali (WESSEL 1961, Il mosaico di San Michele, p. 372; ANDREESCU-TREADGOLD 1990, The wall mosaics of San, p. 21).

INTERVENTION

Title of the intervention carried out during restoration

integrazione / rifacimento

Description

Le operazioni di restauro si orientano verso il rifacimento di ciò che era andato distrutto e si propongono di eliminare gli errori commessi nei precedenti interventi. Dalla relazione dei restauri della ditta Jungebloedt sappiamo che in primo luogo si decide di intervenire sulla testa del Cristo in trono, ormai completamente distrutta, già rifatta all'inizio del secolo ma diversamente dall'originale. Con l'aiuto di antiche riproduzioni iconografiche e di foto si realizza una nuova testa, prendendo a modello quella del Cristo in trono di S. Apollinare Nuovo, utilizzando le tessere originali che, per il loro grosso spessore, si sono potute tagliare. La mano, che era stata mal eseguita, viene rifatta con gesto benedicente. Anche il corpo del Cristo viene modificato: il ginocchio destro viene eseguito abbassato perché risulta troppo alto rispetto alle riproduzioni conosciute, la mano destra realizzata secondo il gesto oratorio. Recuperano quei pochi frammenti musivi conservati degli angeli e rifanno le teste di quelli con la tromba. Per quanto riguarda le figure dei santi Cosma e Damiano, rifatte dai restauratori ottocenteschi, non possedevano più niente di lontanamente originale: si decide pertanto di lasciare due sagome a colore neutro su fondo dorato, le cui forme vengono riprese dalle immagini di vescovi presenti in S. Apollinare in Classe. In questo modo si pensa di mantenere la memoria della presenza dei due santi nei rinfianchi dell'arco trionfale. Si decide inoltre di sostituire con una superficie di appoggio verde il prato paradisiaco aggiunto dai restauratori ottocenteschi sotto ai piedi dei santi Cosma e Damiano. Non tutti gli errori commessi nei precedenti interventi vengono però sanati: infatti si conservano le iscrizioni con i nomi dei santi, negli angeli ai lati del trono vengono conservati i panneggi con pieghe di colore nero a destra e azzurro a sinistra non essendo possibile distinguere chiaramente la parte originale dal rifacimento, l'agnello nell'intradosso viene comunque rimontato a rovescio perché sarebbero occorse troppe modifiche alle parti ad esso collegate, la capigliatura del Cristo trionfante nel catino absidale, palesemente non originale, non viene modificata per mancanza di un modello sicuro a cui far riferimento. I lavori si concludono nel 1952 (WESSEL 1961, Il mosaico di san Michele, pp. 372-374; GRAMENTIERI 1995, Il mosaico absidale della chiesa, p. 94-101).

PRESERVATION STATUS & RESTORATION (6)

PRESERVATION STATUS

Date

1953 - 1977

Reference to the part

intero complesso decorativo

Description

Nel 1953 lo storico dell'arte Klaus Wessel in una lettera alla ditta Jungebloedt denuncia danni in alcuni punti dell'abside dovuti ad infiltrazioni d'acqua nel muro sottostante; nel 1968 altri problemi vengono notati sempre nell'abside probabilmente a causa di lavori di costruzione al piano di sopra. Di ulteriori danni viene sempre informata la ditta Jungebloedt, come dimostra una relazione della stessa datata 1977: sul retro del muro dell'abside si sono aperte, in corrispondenza dei due arcangeli, due crepe verticali e lungo tutta la linea di congiunzione tra il catino absidale e l'arco trionfale corre una lunga crepa, anche se non ancora visibile sulla superficie musiva. Visibilissima è invece una fessura verticale nella parte destra dell'arco trionfale e una orizzontale che corre da destra a sinistra, poco al di sopra del bordo gemmato, finendo nell'intradosso in corrispondenza delle colombe. Quest'ultima fessura risulta essersi allargata progressivamente causando la caduta di diverse tessere, seppur il mosaico risulti comunque ben fissato alla malta sottostante anche in prossimità delle crepe (GRAMENTIERI 1995, Il mosaico absidale della chiesa, pp. 100-101)

RESTORATION

Date

1977, post | 1977

Reference to the part

intero complesso decorativo

Description

Nonostante i numerosi danni riscontrati sulla superficie musiva, non si possiedono documenti che provino l'esecuzione degli interventi necessari, ma non vi sono ragioni di dubitarne, date le ottime condizioni in cui si trova oggi l'intero mosaico (GRAMENTIERI 1995, Il mosaico di San Michele, p. 101).