PRESERVATION STATUS & RESTORATION

PRESERVATION STATUS

Date

13. - 17. sec. | 1200 - 1699

Reference to the part

intero complesso decorativo

Description

Dalle più antiche notizie riportate dalle fonti riguardo alla chiesa di S. Michele in Africisco si possono desumere diverse occasioni nel corso del 13. sec. e del 16. sec. in cui l'edificio ha necessitato di interventi di restauro dato il precario stato conservazione. La prima riproduzione dell'oggi alteratissimo mosaico di S. Michele in Africisco sappiamo essere un'incisione riportata nei Vetera Monimenta (1699) di Giovanni Ciampini. In quest'epoca, pur sembrando ben conservato, appare incompleto in alcune parti e restaurato. Il Ciampini segna con la lettera D la parte inferiore della veste e i piedi del Cristo imberbe nel catino absidale indicando una zona non più esistente, ma si può anche presumere l'esistenza di una patina di sporco tale da non lasciar vedere allora questo particolare, dato che nelle riproduzione più tarde viene riportato integro. Il Cristo barbato nella fascia superiore è segnato molto più chiaro, forse perché già allora molto rovinato e poco visibile. Un'altra lettera D a fianco della scritta Damianus vuole indicare una zona probabilmente ridipinta, ossia la figura di san Damiano e il suo fondo dorato (RICCI 1905, La chiesa di S. Michele, p. 142; RICCI 1937, Monumenti B, p. 31 nota 2; WESSEL 1961, La chiesa di San Michele, p. 370).

RESTORATION

Date

13. - 17. sec. | 1200 - 1699

Reference to the part

intero complesso decorativo

Description

Pur non avendo certezza di quanto i lavori possano aver riguardato anche la superficie musiva, si ha notizia di importanti restauri nella chiesa di S. Michele in Africisco datati al 1215 perché una pergamena del fondo Portuense ne ricorda, in quell'anno, il "laborerium". Nel corso del 16 sec., secondo quanto riferisce Girolamo Fabri nelle Sagre Memorie di Ravenna antica (1664), la chiesa viene nuovamente, quanto genericamente, assai restaurata (RICCI 1937, Monumenti B, pp. 6-7). Un ulteriore intervento di rifacimento, non meglio databile se non tra 16. sec. e 17. sec., si può desumere dall'incisione riportata da Giovanni Ciampini nei Vetera Monimenta (1699), prima riproduzione nota dell'oggi alteratissimo mosaico di S. Michele in Africisco. L'autore segnala con la lettera D a fianco della scritta Damianus una zona ridipinta, ossia la figura di san Damiano e il suo fondo dorato, mentre si segnala un restauro a mosaico non meglio identificabile. È interessante notare come nell'incisione siano riportate scorrettamente le colombe dell'intradosso, ovvero le sei dalla parte sinistra guardano verso il Cristo al centro dell'abside, mentre le sei dalla parte destra sono rivolte verso l'esterno (RICCI 1905, La chiesa di S. Michele, p. 142; RICCI 1937, Monumenti B, p. 31 nota 2; WESSEL 1961, La chiesa di San Michele, p. 370).

PRESERVATION STATUS & RESTORATION (2)

PRESERVATION STATUS

Date

1805 - 1844

Reference to the part

intero complesso decorativo

Description

Nel 1805 la chiesa, assai degradata nelle architetture come negli spazi, viene interdetta al culto a seguito delle soppressioni degli ordini religiosi dovute a Napoleone. Nel 1812 viene parzialmente venduta per 80 scudi a un certo Andrea Cicognani che utilizza la navata sinistra per ricavarvi delle botteghe per la vendita di pesce prospicienti il vicolo Casa Matha. Nel 1816 Pompeo Raisi fornisce alcune notizie su quanto avviene alla chiesa dopo la soppressione e, descrivendo il mosaico dell'abside e dell'arco trionfale, ne parla ancora come del più conservato e bello della città. Nel 1840, in quanto proprietario di S. Michele in Africisco, il comune di Ravenna vende la restante e più pregevole parte della chiesa all'amministratore civico ed antiquario Giuseppe Buffa, legando la transazione alla salvaguardia del paramento musivo. Onde poter utilizzare gli spazi occupati dal mosaico come deposito per la legna, il Buffa fa erigere un muro a scopo protettivo, tra la zona absidale e la navata, che tuttavia non basta a salvaguardare la superficie musiva dai danni arrecatigli dall'accumulo di materiale da ardere, legna e fascine che in quel locale venivano legate, ammucchiate e infine vendute. Nel 1844, secondo quanto riferisce l'antiquario veneziano Francesco Pajaro nel corso del sopralluogo eseguito prima dello stacco, il mosaico presenta danni antichi e moderni, primi fra tutti svariate ridipinture a coprire molte parti affumicate. Diverse importantissime testimonianze, tutte concordi, documentano nella maniera più fedele il preciso stato di conservazione del mosaico poco prima dello strappo: si tratta di un acquerello eseguito, probabilmente per conto del re di Prussia, dallo scultore Enrico Pazzi tra 1842 e 1843, di un lucido tratto dall'antiquario Francesco Pajaro, eseguito sulla base dell'acquerello del Pazzi, che segnala con inchiostro nero le parti mancanti e con matita rossa le parti ridipinte e di un altro acquerello, sempre databile al 1842/1843, eseguito dal carpentiere Luigi Falchetti. Risultano pertanto mancanti un'estesa zona comprendente la parte inferiore della figura di san Cosma, di cui restano perciò il busto, la testa e la mano destra, e parte dell'intradosso; due grosse lacune si riscontrano una vicino all'arcangelo Michele e una nel fondo della sua veste, una sottile striscia nella zona inferiore di tutta la superficie musiva, una grossa lacuna comprendente parte della veste dell'arcangelo Gabriele e che si estende all'intradosso e alla figura di san Damiano nella parte inferiore e laterale. Nell'acquerello del Pazzi risulta ancora visibile parte della sesta colomba che chiude la fila delle sei per parte che decoravano l'intradosso, simboleggianti, nel numero dodici, la schiera degli Apostoli che guardano al fulcro centrale dove si trova il Cristo. Sempre dal Pazzi, così come dal Falchetti, sono segnalate con colore più chiaro le zone interessate da rifacimenti pittorici quali tutta la restante parte della figura di san Damiano, parte della decorazione dell'intradosso e una piccola parte di ala e veste dell'arcangelo Gabriele, una grossa fascia di fondo oro soprastante le teste degli angeli con tromba alla sinistra del Cristo barbato nell'arco trionfale e la fascia decorativa soprastante che corre lungo tutto il perimetro superiore, così come un'estesa porzione delle figure dei medesimi angeli, nello specifico gli ultimi due verso l'esterno, e della parte di flutti multicolori in cui sono immersi (RICCI 1937, Monumenti B, p. 9-10, 31; BOVINI 1953, Un'antica chiesa ravennate, p. 18; AGOSTINELLI 2007, Interventi e restauri nell'ex, pp. 283-285).

RESTORATION

Date

1844 - 1845

Reference to the part

intero complesso decorativo

Description

Tra 1842 e 1843 il mosaico absidale di S. Michele in Africisco viene venduto per 200 scudi dall'antiquario Giuseppe Buffa al barone Nicolaus von Minutoli, assessore tedesco, che tratta la compera per conto di Federico Guglielmo 4. re di Prussia, consulente lo storico dell'arte von Wagen in rappresentanza della corte. Con complicate azioni diplomatiche si ottiene da papa Gregorio 16. il permesso di portarlo oltralpe aggirando le leggi che lo vincolavano a rimanere su territorio italiano. Il direttore dei RR. Musei di Berlino I. von Olfers, dopo il netto rifiuto del conte Alessandro Cappi segretario dell'Accademia di Belle Arti di Ravenna, incarica Francesco Pajaro, antiquario di Venezia, di occuparsi delle operazioni di stacco, imballaggio e spedizione. Recatosi a Ravenna, precisamente nel 1844, il Pajaro può constatare le condizioni non buone della superficie musiva e incarica il restauratore veneziano Liborio Salandri di pulire ed eliminare le ridipinture accumulatesi nel corso dei secoli. A seguito di tale operazione viene tratto un lucido dell'intero mosaico, in cui le lacune vengono segnate in inchiostro nero e le parti dipinte in matita rossa. Con l'aiuto del Salandri il Pajaro procede al distacco del mosaico, partendo dalla parte anteriore per finire con la volta; viene utilizzata una forma in legno allo scopo di sostenere il mosaico e tenerlo unito durante il distacco. Successivamente viene restaurato nelle parti più danneggiate e deposto accanto al Consolato Austriaco, per essere imballato. A dicembre dello stresso anno il mosaico, suddiviso in 39 pezzi di tela, risulta a Venezia e nel 1845 si procede a liberarlo dalla malta d'allettamento. I lavori subiscono un forte rallentamento: muore il Salandri e il mosaicista chiamato a sostituirlo, Giovanni Moro, è impegnato in S. Ambrogio a Milano; il Pajaro, incapace di far fronte alla situazione, rimane irreperibile per diversi mesi (RICCI 1937, Monumenti B, pp. 14-18, 21; BOVINI 1953, Un'antica chiesa ravennate, p. 20; TROVABENE 2007, Le teste degli arcangeli Michele, pp. 152-153).

INTERVENTION

Title of the intervention carried out during restoration

consolidamento

Description

Il metodo di stacco utilizzato da Pajaro e Salandri prevede l'uso di una forma di legno per sostenere il mosaico e tenerlo unito durante questa operazione, anche se nel preventivo di spesa si parla di lastre di piombo asfaltate. Nelle operazioni di strappo, certamente a mezzo di tela incollata, oltre alle tessere, viene staccato il cemento, o malta, su cui queste poggiano, il tutto senza rompere il muro. Così si agisce per salvaguardare il più possibile dalla rottura i pezzi molto grandi. Nel frattempo alcuni collaboratori raccolgono tutte le tessere cadute nel corso delle operazioni. Successivamente, a Venezia, il mosaico viene liberato dalla sua malta d'allettamento: l'antico cemento, per sua natura durissimo, a causa dell'acqua infiltrata risulta molliccio e non permette che se ne sostituisca con altro. Viene perciò incollato su nuova tela dal Bianchetti (RICCI 1937, Monumenti B, p. 21).

INTERVENTION

Title of the intervention carried out during restoration

pulitura

Description

Dopo una prima operazione di pulitura realizzata dal restauratore veneziano Liborio Salandri quando l'opera si trovava ancora all'interno della chiesa di S. Michele in Africisco, atta a ripulire ed eliminare le ridipinture accumulatesi nel corso dei secoli, il mosaico viene ripulito tessera per tessera una volta giunto a Venezia (RICCI 1937, Monumenti B, p. 21).

INTERVENTION

Title of the intervention carried out during restoration

integrazione / rifacimento

Description

Vengono completate le figure, rifacendole dove risultano mancanti, mentre il restauro degli ornati non viene completato. La figura di san Cosma, e presumibilmente altre parti, viene rifatta dal restauratore Liborio Salandri (RICCI 1937, Monumenti B, p. 21; ANDREESCU-TREADGOLD 1990, The wall mosaics of San, p. 20).

PRESERVATION STATUS & RESTORATION (3)

PRESERVATION STATUS

Date

1849, ante | 1849

Reference to the part

intero complesso decorativo

Description

Le tormentate vicissitudini del mosaico fermo a Venezia sulla via di Berlino non sono finite. Secondo quanto riferisce Francesco Pajaro nel 1849, il mosaico risulta danneggiato dai bombardamenti sulla città durante i moti rivoluzionari del 1848: palle di cannone sono cadute proprio su Palazzo Sanudo, residenza del Pajaro nonché luogo di custodia del mosaico, danneggiandolo in più punti. Il restauratore Giovanni Moro riferisce di una palla che ha rovinato la metà inferiore del trono, già peraltro restaurato, e di un'altra che ha rigato l'ornamento dell'arco. Il peggior danno risulta tuttavia essere l'acqua che cola giù dal tetto infradiciando il mosaico, conservato in un locale già di per sé umido e nei cui ambienti si sono disperse svariate tessere (RICCI 1937, Monumenti B, p. 18, 22; TROVABENE 2007, Le teste degli arcangeli Michele, p. 152).

RESTORATION

Date

1850 - 1851

Reference to the part

intero complesso decorativo

Description

A seguito dei danni subiti nel corso dei bombardamenti su Venezia e all'inadempienza di Francesco Pajaro, il console prussiano Treves incarica Giovanni Moro delle operazioni di restauro: il mosaico passa così da Palazzo Sanudo a Palazzo Pisani, per poi essere trasportato in singoli pezzi, onde restaurarlo, a casa del Moro che li avrebbe riconsegnati a lavoro finito. Infatti, conclusosi l'intervento, alla fine di marzo 1851 il Moro consegna al Consolato prussiano il mosaico, diviso per sezioni numerate, chiuso in quattro diverse casse; in una quinta invece mette pezzi di smalto d'ogni colore per rimediare ai danni causati dal viaggio nonché materiale per la ricomposizione, per facilitare la quale esegue anche un lucido nel quale ogni pezzo è contrassegnato da un numero. Secondo la lettera d'accompagnamento scritta dallo stesso Moro, insieme alle casse, venivano spediti a Berlino un preciso elenco di tutto ciò che era custodito in ognuna di queste, il lucido utile per il rimontaggio e un disegno a colori che lo scultore Enrico Pazzi aveva fedelmente eseguito anni prima per conto del re di Prussia. Il Moro allegava inoltre due teste originali, non sappiamo quali, provenienti dal mosaico di S. Michele in Africisco per permettere ai committenti di confrontarle e valutare quindi la qualità del suo intervento (RICCI 1937, Monumenti B, p. 19; ANDREESCU-TREADGOLD 2007, I mosaici antichi e quelli, pp. 113,128-130).

INTERVENTION

Title of the intervention carried out during restoration

integrazione / rifacimento

Description

Al restauratore Giovanni Moro vengono attribuiti i maggiori rifacimenti, se non addirittura il rifacimento totale, del mosaico di S. Michele in Africisco: non solo l'integrazione copiosa con tessere moderne che ha portato alla totale alterazione cromatica del mosaico, ma la sistematica sostituzione delle teste degli arcangeli Michele e Gabriele nonchè del Christus Victor del catino absidale, staccate dall'intero complesso decorativo in occasione del suo intervento finalizzato alla spedizione del mosaico a Berlino. Ritenendole in cattivo stato di conservazione e volendo consegnare l'intera superficie musiva quale insieme omogeneo e armonioso, funzionale ad un santuario, il restauratore decide di sostituirle con copie da lui stesso eseguite. A conferma di quanto supposto si trova la lettera d'accompagnamento, scritta dallo stesso Moro nel marzo del 1851, allegata insieme alle casse spedite a Berlino, in cui il restauratore afferma di spedire due teste originali, non sappiamo quali, provenienti dal mosaico di S. Michele in Africisco per permettere ai committenti di confrontarle e valutare quindi la qualità del suo intervento. Il restauratore dà quindi esplicita informazione sul suo modo di operare, non nascondendo di aver copiato ex novo la maggior parte del mosaico, traendo anzi una certa soddisfazione nel paragonarsi al modello, con atteggiamento tipico della mentalità del tempo. Si ipotizza che l'allungamento verso l'interno dell'occhio a destra del Cristo, che ne intacca tanto il disegno, possa essere dovuto al ritocco di Giovanni Moro ma non è possibile averne certezza (ANDREESCU-TREADGOLD 2007, I mosaici antichi e quelli, pp. 116-117; BOVINI 1953, A proposito dei mosaici dell'abside, pp. 64-65; GRAMENTIERI 1995, Il mosaico absidale della chiesa, p. 100; KNIFFITZ 2007, Alcune considerazioni sulla testa, pp. 168-169).

PRESERVATION STATUS & RESTORATION (4)

PRESERVATION STATUS

Date

1988 - 1994

Reference to the part

Testa di Cristo

Description

Quella che oggi è identificata come la testa originale del Christus victor del catino absidale della chiesa di S. Michele in Africisco, fu acquistata in Italia nel 1856 da John Charles Robinson, conservatore della Malborough House, poi South Kensington e infine Victoria & Albert Museum, su indicazione anche di Henry Cole, come semplice frammento di antico mosaico parietale. È possibile formulare alcune ipotesi sulla provenienza della testa del Cristo: Robinson può aver conosciuto Giovanni Moro nel 1851 a Venezia e aver notato nel suo laboratorio il frammento originale che sappiamo staccato dal suo complesso dal restauratore e sostituito con una copia prima della spedizione dell'intero mosaico a Berlino. In seguito può aver organizzato l'acquisto e la spedizione della testa cinque anni dopo. È possibile invece che Robinson abbia ottenuto la testa staccata dal Moro dalla ditta veneziana Salviati con la quali aveva rapporti e che già operava anche nel campo antiquario e del commercio di oggetti d'arte. In ultimo è anche ipotizzabile che Robinson abbia semplicemente acquistato il frammento nel corso del suo soggiorno a Parigi, a quel tempo sede di mercati e aste di oggetti artistici, proprio nel 1856. Soltanto nel 1988, grazie ad una nuova stima del frammento compiuta dalla studiosa Irina Andreescu-Treadgold, è stato possibile riconoscere nella testa del giovane Cristo conservata al Victoria & Albert Museum uno dei pochi frammenti superstiti della decorazione dell'abside di S. Michele in Africisco. Il riconoscimento si può confermare inoltre alla luce di nuove indagini: la misura della testa infatti conferma la compatibilità con l'identificazione proposta dalla Andreescu. Il calco della testa del Cristo presente nell'abside berlinese, fatto eseguire dal direttore del Bode Museum, Arne Effenberger, ha permesso un proficuo confronto con una rappresentazione in scala ricavata dai disegni utilizzati dalla ditta Puhl e Wagner all'inizio del secolo per la ricomposizione del mosaico: lo scarto tra le due misurazioni è di uno o due centimetri e, quel che più conta, corrisponde alle misure della testa originale del Victoria & Albert Museum. Nel 1994, secondo l'analisi riportata da David Buckton, il mosaico si presenta con un fondo di tessere di vetro dorato frutto di restauro moderno che ha sostituito il nimbo crociato del mosaico originale. La tunica blu e il mantello rosso sono anch'essi opera di restauro; la capigliatura in tessere di vetro è originale con alcune tessere moderne mescolate alle altre, mentre si notano rifacimenti a chiazze soprattutto lungo il perimetro. Le parti dell'incarnato, in tessere di pietra e vetro, sono perlopiù originali, ma in alcuni casi mal posizionate. Gli occhi e il naso sono ritoccati e così la bocca risulta in parte rifatta. Il profilo del lato sinistro del collo in tessere rosso acceso, che raddoppia la linea del mantallo, sostituisce forse una linea d'ombra originale in tessere opache andata persa e non compresa. L'intera superficie è distorta, tutte le tessere presentano un elevato grado di corrosione riferibile alle alterne vicende susseguitisi nel corso del 19. sec., in particolare le tessere in calcare mostrano evidenti danni da pitting ovvero con micro alveolizzazioni (ANDREESCU-TREADGOLD 2007, La campionatura delle tessere vitree, pp. 142-143; KNIFFITZ 2007, Alcune considerazioni sulla testa, pp. 165-168; BUCKTON 1994, Byzantium).

RESTORATION

Date

1994, post | 1994

Reference to the part

Testa di Cristo

Description

Riguardo al frammento non esistono dati certi che documentino interventi di restauro successivi alla sua separazione dall'intero complesso decorativo oggi custodito presso il Bode-Museum di Berlino.